giovedì 27 settembre 2012

Il caso Sallusti e il caso Piccenna-Vulpio: due pesi e due misure.

E' tutto un rincorrere di dichiarazioni. Di politici, di giornalisti, dell'Ordine dei Giornalisti, financo della Presidenza della Repubblica. 
Sallusti parla alla Redazione del suo quotidiano: volti preoccupati, commossi, occhi pieni di lacrime. I politici, di ogni schieramento, si affrettano a dichiarare che la stampa non si può imbavagliare, che il reato contestato a Sallusti è un assurdo, che è da stato Fascista.
La Presidenza della Repubblica ha fatto sapere che esaminerà con attenzione la sentenza, il Presidente del Senato dichiara che nei trenta giorni in cui la pena è sospesa "si troverà una soluzione", la Finocchiaro che "la disciplina sulla diffamazione a mezzo stampa vada cambiata. Questione di civiltà".
Oggi sul Corriere della Sera ci sono due pagine dedicate al "caso Sallusti". Eppure la stessa attenzione non ricordo di averla ritrovata quando, ormai anni fa, è iniziata la vicenda che riguarda l'ex giornalista de "Il Resto", Nicola Piccenna, il giornalista del Corriere Carlo Vulpio, di "Chi l'ha visto" Gianloreto Carbone più altri giornalisti e financo ufficiali dei Carabinieri. La vicenda, nota per chi ha seguito gli sviluppi dell'inchiesta TOGHE LUCANE, riguarda la Procura di Matera (pm Annunziata Cazzetta) che indaga per un reato non previsto dal codice penale: associazione a delinquere finalizzata alla diffamazione a mezzo stampa. 
Le abitazioni dei giornalisti sono state perquisite, i computers sequestrati, i telefoni intercettati senza che sia stata trovata prova dell'associazione a delinquere, cioè del fatto che giornalisti e forze dell'ordine si siano accordati per diffamare alcuni personaggi indagati nell'inchiesta Toghe lucane. 
Zero. O quasi zero. Nessuna mobilitazione dell'ordine dei giornalisti, niente dalla Presidenza della Repubblica, dal CSM, dai politici. Gli stessi che oggi difendono a spada tratta la libertà di Sallusti. Forse perchè Sallusti non si è occupato di loro. Altrimenti....


Carlo Vulpio e Nicola Piccenna rispondono così alle domande di Ossigeno per l'Informazione.


Vulpio: “Di noi non è importato niente a nessuno, né alla sinistra giustizialista, né a coloro che di solito difendono la giustizia e i diritti. Di Pietro, Vendola, Grillo per noi non hanno speso una parola”. Noi ci eravamo rivolti anche al capo dello Stato, Giorgio Napoletano. Gli abbiamo chiesto sommessamente  di intervenire, in qualità di presidente del Csm, rilevando l’anomalia. Ma non c’è stato nessun intervento. Sia chiaro: con ciò non voglio attaccare la figura di Napolitano. Io, peraltro, non sono fra quelli che imputano al Presidente di essere coinvolto nella trattativa Stato-mafia, io non mi accodo a chi sostiene che si potesse intercettare anche il Capo dello Stato. Dico solo che su questa scandalosa vicenda sarebbe dovuto intervenire, al pari di altri. Ci hanno accusato di un reato, l’associazione a delinquere finalizzata alla diffamazione a mezzo stampa, mai contestato in 150 anni di storia d’Italia.

La stampa ha parlato pochissimo di voi. Perché?
Piccenna: “Perché la stampa molto spesso non è libera essendo nelle mani di gruppi di potere, politico o finanziario. Poi nella nostra vicenda sono coinvolti molti massoni (ufficialmente tali) e molti altri (massoni) non ufficialmente tali”.
Vulpio: “Perché non conviene a nessuno parlare di questa vicenda. Per parlarne si dovrebbe cercare di rispondere ad altri interrogativi. Primo: se i giudici possono farsi i cavoli loro su tutte le questioni che a loro conviene mandare avanti, rallentare o fermare? Ormai in Italia assistiamo a questo sport dannoso per la democrazia e per i cittadini: i procuratori fanno a gara per trattare le inchieste ad alto valore mediatico. Secondo interrogativo a cui rispondere: perché il Csm non è intervenuto su una questione così lapalissianamente paradossale? Se i media ne avessero parlato di questo aspetto, come timidamente ha fatto una sola volta il Tg1 di Minzolini – che mi intervistò alla vigilia della chiusura delle indagini a nostro carico, ed è stato l’unico momento in cui noi imputati abbiamo potuto far sentire la nostra voce – si sarebbe dovuta aprire una riflessione sulla magistratura, sulla separazione delle carriere, su cosa il Csm non ha fatto. Terzo: si dovrebbe dire come è nata tutta questa vicenda: dalle inchieste di De Magistris? No! Dalle inchieste di Carlo Vulpio e di Nicola Picenna, e dalle indagini del capitano Zacheo. Queste inchieste sono diventate inchieste giudiziarie soltanto in un secondo momento. Inchieste poi entrate, fra l’altro, nel limbo, perché chi le ha avute in mano, una volta ottenuto l’obbiettivo di entrare in politica, le ha rimandate alle procure di Potenza e Matera… Noi siamo stati usati a nostra insaputa e in buona fede”.