lunedì 28 dicembre 2009

Contro Facebook

L’amicizia al tempo di Facebook: non più una frequentazione continua fatta di serate, discussioni, reciproche consolazioni. Casomai, un dialogo virtuale fatto di battute tra individui che quando va bene si sono visti due volte. E allora: se abbiamo 768 «amici» su Fb, in che senso li abbiamo?

Se siete su Facebook, lo sapete già. E in questi giorni ne avete avuto la conferma. Quest’anno si sono fatti meno auguri a voce e per telefono e anche per e-mail; e tantissimi via social network, magari urbi et orbi. Ci sono stati meno incontri anche brevi per salutarsi. In compenso, nei momenti in cui si riusciva a tirare il fiato, si andava online. Per scambiare due chiacchiere con qualcuno che non fosse un cognato; per annunciare sul proprio status che si era mangiato troppo; per fare battute sugli ultimi strani eventi italiani; per rincuorare tutti, a metà pomeriggio del 25, con dei «forza e coraggio, tra poco è finita». Poi magari ci si è visti con gli amici. I soliti. Non quelli, magari centinaia, che abbiamo su Fb.

Non più legame affettivo e leale tra affini che fa condividere la vita e (nella letteratura classica) la morte. Assai più spesso, un contatto collettivo labile che fa condividere video di Berlusconi, Lady Gaga, Elio e le storie tese. Non più una frequentazione continua fatta di serate, discussioni, reciproche consolazioni. Casomai, un dialogo virtuale fatto di battute tra individui che quando va bene si son visti due volte. Poi ci sono i ragazzini che stanno crescendo insieme ai social network. Ma loro sono — in parte— un’altra storia.

L’amicizia si sta evolvendo, da relazione a sensazione. Da qualcosa che le persone condividono a qualcosa che ognuno di noi abbraccia per conto suo.
Eccoci sistemati tutti. Ecco perché, magari, dopo certi pomeriggi domenicali passati a chattare, non ci si sente appagati, casomai lievemente angosciati e col mal di testa.
«L’immagine del vero amico, un’anima affine rara da trovare e molto amata, è completamente scomparsa dalla nostra cultura».

Maria Laura Rodotà, Corriere della Sera, 27 Dicembre 2009


sabato 19 dicembre 2009

Ma voi, vi aspettavate una fine diversa?

Marinagri, la beffa del Dr. Cianfarini e “quella sporca dozzina

Lo svolgimento dell'udienza preliminare in cui erano imputati i signori Vitale (padre e figlio), il signor Viceconte ed il signor Lopatriello (meglio nota come udienza sul caso “Marinagri”) è davvero singolare, molto singolare. Succede che verso le undici inizia con la difesa degli imputati che chiede di procedere con il rito abbreviato. Il pubblico ministero (Vincenzo Capomolla) non si oppone ed il GUP (Gabriella Reillo) si prende un'ora per decidere. Intorno alle 12.00 accoglie l'istanza e apre il processo secondo la formulazione del “rito abbreviato”. Va via il Dr. Capomolla e viene sostituito, come PM, dal Dr. Alberto Cianfarini che compare dopo breve ricerca fra i magistrati disponibili. Pochi minuti e Cianfarini chiede il proscioglimento degli imputati. Proprio così, la pubblica accusa in un processo istruito dopo mesi d'indagini, centinaia di migliaia di pagine di atti, informative e risultanze investigative d'ogni genere, chiede il proscioglimento degli imputati. È talmente inverosimile che il signor Lopatriello, qualche ora fa, dichiarava in diretta radiofonica (Basilicata Radio Due) di aver commentato con il proprio legale: “ma, avvocato, ci stanno prendendo in giro?”. Infatti è davvero inverosimile che un magistrato si discosti dalla valutazione del proprio collega procuratore senza aver avuto nemmeno il tempo di sfogliare gli atti processuali. Come è inverosimile che un altro magistrato, la D.ssa Gabriella Reillo, decida per il proscioglimento così su due piedi. Allora, signori miei, forse è giunto il momento di tributare il giusto encomio a quella sporca dozzina di magistrati, avvocati, giornalisti e cittadini che hanno difeso il lumicino della legalità nel tifone che spazza i palazzi di giustizia di Basilicata e Calabria. Non ne hanno ricavato che ingiurie, minacce, ritorsioni e sbeffeggiamenti ma hanno dimostrato che la verità, la libertà e la giustizia sono costitutive dell'umano sino al sacrificio personale. Per meno, non varrebbe la pena nemmeno di alzarsi al mattino. L'assoluzione per i 4 imputati, paradossalmente, diventa la prova del favoreggiamento consumato da parte di Reillo, Capomolla e Cianfarini. Una vera e propria associazione per delinquere in vesti togate che offende l'ordinamento giudiziario e irride i cittadini inermi. Restano ancor più evidenti le responsabilità dei magistrati della Procura di Salerno che, informati il 1° luglio 2009 dell'esistenza di un piano articolato mirante all'annichilimento fraudolento dell'inchiesta “Toghe Lucane”, nulla hanno posto in essere per impedire il protrarsi, l'aggravarsi ed il ripetersi delle condotte delittuose che puntualmente si sono protratte, aggravate e ripetute. C'è ancora speranza? Certo, fintanto che resterà una sporca dozzina di uomini liberi e, consentano i lettori, timorati solo di Dio!
: WWW.TOGHELUCANE.BLOGSPOT.COM

mercoledì 16 dicembre 2009

Memoria del XVI Dicembre.

La piazza principale di Sant'Angelo è piazza XVI Dicembre. Per essere precisi è piazza XVI Dicembre 1857.
Quel giorno, poco dopo le 22:00, un terribile terremoto colpì Campania e Basilicata. I morti (stime approssimative) furono oltre novemila per la sola provincia di Potenza.
L'aviglianese venne risparmiato dal grave sisma. E il popolo di Avigliano si recò devoto al Santuario del Monte Carmine, eretto per ringraziare la Madonna di averli risparmiati in occasione del terremoto di 163 anni prima, perchè la Madonna ancora una volta li aveva protetti.
In ricordo della grazia ricevuta, fu fatto voto di fare del 16 dicembre, per tutto il territorio aviglianese, un giorno di rigoroso digiuno e di astinenza, di sospendere in quel giorno ogni lavoro manuale e di portare ogni anno in ricorrenza di quella data, per le vie del paese, in processione, la Statua della Madonna.
Anche oggi, come da tradizione, la comunità di Sant'Angelo è chiamata a partecipare alla processione e alla Santa Messa che verrà celebrata nel primo pomeriggio.
Ricordo ancora quando da piccolo mi occupavo di suonare la campana più piccola durante tutta la durata della processione. Compito molto ambito. In questa occasione suonava solo una campana e bastava un solo campanaro. Ad Agosto, alla festa patronale, veniva suonata anche quella più grande: erano necessari più bambini e bisognava coordinarsi. Oggi invece è tutto automatico, dal suono standard: sempre lo stesso rintocco. La campana piccola non suona più a distesa. E' fissa. Inizio anche io a rimpiangere i tempi andati. Sarà l'età che avanza?

martedì 1 dicembre 2009

Il coltello aviglianese

Spesso i colleghi al lavoro chiedono "perchè hai un coltello nella tasca posteriore?" Io rispondo che è per il fatto di essere aviglianese...

Il coltello di Avigliano, comunemente conosciuto come "balestra", impreziosito con decorazioni in argento e ottone che le conferivano un certo valore non solo artistico,ha identificato per tutto l'Ottocento e parte del Novecento il carattere fiero e risoluto del popolo aviglianese, come attestato in una lunga casistica di riscontri documentari.


Si comincia con la seicentesca Relazione Ardoini: "Sono uomini forti di temperamento che resistono al lavoro, e per li più bruni di faccia alti, e grossi di corpo e di statura, e di presenza fiera, massime perché quasi tutti vanno rasi in testa, e con li mostacci larghi all'usanza galeotta, che li rende d'horribile aspetto, benché dolci nell'operazioni".
E ancora: "Li maritato sono zelanti dell'honore né ivi si sentono quelli eccessi dishonesti di Melfi, e non timerono anticamente quei cittadini di tagliare il capo a lor Padrone Caracciolo e ponergliela alla finestra a causa d'havergli voluto toccare nell'honore delle donne".
La "balestra" è un'arma a tutti gli effetti, ed è già considerata -nell'ambito delle manifatture di ferro - oggetto di pregio. Per l'approvvigionamento dell'argento e dell'ottone destinati alla decorazione del manico del coltello gli armieri si rivolgevano agli orefici d agli ottonari
È evidente che un manufatto di tale pregio doveva necessariamente avere un costo alquanto elevato. Tuttavia, la committenza era costituita dal ceto contadino e artigiano, mentre veniva completamente snobbato dai civili e dai galantuomini.
La "balestra" era un'arma del popolo, pronta ad essere impiegata, a seconda delle circostanze, per la difesa o l'offesa tanto dagli uomini quanto dalle donne. Queste, la ricevevano come regalo di fidanzamento dal rispettivo promesso sposo per meglio difendere il proprio onore, perpetrando un'usanza molto sentita almeno fino ai primi decenni del '900.

Tratto da "Basilicata Regione Notizie" (Francesco Manfredi)