domenica 28 novembre 2010

La Regione spopolata e il sogno della fabbrica.

(...) L'odissea della "Sinoro" è solo la metafora di una storica sconfitta. Quella del tentativo di portare in Basilicata le industrie con i soldi piovuti dopo il terremoto del 1980. Tantissimi soldi.
L'illusione è durata pochi anni. Giusto il tempo per accorgersi che la Basilicata sarebbe stata risucchiata di nuovo nel gorgo delle regioni europee più depresse. L'emigrazione, che nel secolo scorso aveva spopolato interi paesi, è ripresa alla grande. Tanto che la regione ha perduto in meno di vent'anni dal 1991 al 2010, ben 23mila abitanti: da 611mila a poco più di 588mila. Un dato dice tutto. Al momento dell'Unità, nel 1861, negli attuali confini italiani vivevano 27milioni di persone: sono più che raddoppiate. In Basilicata ce n'erano circa mezzo milione. Sono rimaste più o meno le stesse.
(...) Il reddito pro capite è intorno al 72% della media nazionale. E da qualche anno la Lucania, dopo essere stata faticosamente tirata fuori con robusti flussi di denaro dalle regioni depresse classificate dalle UE con la sigla "Obiettivo uno", sta tornandoci dentro. Sta cioè scivolando di nuovo tra le aree che hanno un PIL pro capite inferiore ai tre quarti della media continentale e che perciò vengono aiutate dall'Unione. Media, si badi bene, abbassata da Paesi come Cipro, Polonia, Estonia, Romania... Un guaio. Perchè quei soldi, stando alle regole attuali, non arriveranno più. Neanche se la Basilicata tornerà ad essere una regione povera. Uno smacco. Che spazza via decenni di illusioni. Alimentate soprattutto dal petrolio dell'Eni, che doveva trasformare la Basilicata nel Texas d'Italia.
(...) E il panorama attorno è desolante. Nel 2009, dice uno studio Unioncamere, "gli effetti della crisi globale sono risultati amplificati dalle fragilità dell'economia locale" con un calo del PIL pro capite del 7%. Nettamente superiore alla già allarmante media italiana. E mentre si segnalano preoccupanti infiltrazioni della criminalità organizzata, pare riacutizzarsi l'antica piaga dell'emigrazione. Se ne vanno al Nord o all'estero perfino i giovani laureati rom di Melfi. Ragazzi appartenenti ad una comunità di "zingari" fra le più antiche, colte e meglio inserite d'Italia. Una comunità che ha visto Saverio Bevilacqua, uno dei commercialisti più in vista della città, diventare non solo consigliere provinciale ma presidente del locale Rotary. Una comunità che già ai tempi di Zanardelli, quando l'analfabetismo qui era al 79%, come dimostra un libro di Jessica Boccia e Mauro Tartaglia*, mandava i bambini a scuola.
Per non parlare della politica. La carenza di leadership, dopo l'Autunno del patriarca Emilio Colombo, è drammatica. Destra o sinistra, i lucani a Roma pesano sempre meno. Figurarsi a Bruxelles.
Certo, qualche insediamento è stato benedetto dalla fortuna. Come lo stabilimento, che va benissimo, della Ferrero a Balvano. Per attirarlo lassù sulle montagne, come ricorda Antonello Caporale nel suo ultimo libro "Terremoti SpA", costruirono, l'area industriale, a prezzi salatissimi, a mille metri sul mare. E' ancora leggendaria la risposta che diede il sindaco alla commissione parlamentare d'inchiesta: "come mai lassù in cima?". "Ce l'ha chiesto la Ferrero per farci lo stabilimento. Dice che lassù le merendine lievitano meglio".
Quello che non è lievitato è il grande sogno industriale. (....)
Un divario drammatico, tra sogno e realtà. Viene in mente la storia della ricottella che racconta il vecchio Emilio Colombo: "La villanella con la ricottella se ne andava bel bella lungo la strada, sempre con 'sta ricottella sulla testa e le mani sui fianchi, già se la godeva: mo' mi vendo al mercato 'sta ricottella, coi soldini comincio a farmi la dote, con la dote mi trovo un marito, col marito mi fo la casa.... Finchè inciampò e...."

di Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella, Corriere della Sera del 27 Novembre, pagg 16 e 17.

* La comunità Rom di Melfi. Le radici di un popolo errante - Edizione FrancoAngeli

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