domenica 20 settembre 2009

Contro Farouk Hosni all'UNESCO.

L' uomo che con ogni probabilità guiderà per i prossimi 10 anni l' Unesco, Farouk Hosni, ha chiesto scusa per aver detto nel maggio del 2008, nella sede del Parlamento egiziano, di voler «bruciare» personalmente i libri israeliani nelle librerie del Cairo. Ma non c' è mai stato bisogno del rogo vero e proprio. I libri israeliani e «sionisti», in tutti gli anni in cui Hosni è stato ministro della Cultura, sono stati messi al bando, censurati, cancellati anche senza il bagliore delle fiamme. Gli scrittori israeliani, regnante Hosni, non hanno mai potuto mettere piede alla grande Fiera del libro del Cairo. Le fanfare dell' accoglienza hanno suonato piuttosto per Roger Garaudy, il negazionista francese secondo il quale «gli ebrei hanno inventato l' Olocausto per il loro tornaconto politico ed economico» e che Hosni ha personalmente invitato nel 1998 con grande enfasi in Egitto dopo che la Francia aveva condannato le sue tesi antisemite. Il governo italiano è convinto che le scuse di Hosni siano sufficienti. E che il suo curriculum culturale e istituzionale dimostri la piena idoneità del candidato egiziano a dirigere un importante organismo internazionale che per conto delle Nazioni Unite dovrà conservare e tutelare il grande patrimonio culturale dell' umanità, nonché promuovere i valori della tolleranza e del dialogo. Forse è vero che la smania censoria di Hosni non sia specificamente diretta contro gli ebrei e gli israeliani. Sotto il suo dispotico regno culturale la mannaia della censura ha infatti colpito massicciamente e indiscriminatamente, come ha documentato Foreign Policy, tutti e non un clan di burattini manovrati dal «sionismo». Il divieto si è abbattuto per esempio su Lolita di Nabokov, su L' insostenibile leggerezza dell' essere di Milan Kundera, sul Codice da Vinci di Dan Brown (questo sì per non meglio precisate implicazioni «sioniste»), sul Saggio su Maometto di Maxime Rodinson, sulle poesie medievali dell' arabo Abu Nuwas («troppo sensuali», Hosni nel gennaio del 2001), perfino sul premio Nobel Naguib Mahfuz, di cui Hosni ha chiesto l' espulsione dall' Unione degli scrittori egiziani perché «colpevole», ricorda Giulio Meotti sul Foglio, di aver visto tradotte alcune sue opere in Israele e per questo bollato come un «apostata» dai fanatici fondamentalisti. Perché è vero che la censura di Hosni, probabile prossimo tutore del patrimonio culturale universale, si esercita erga omnes, ma quando coinvolge gli ebrei e Israele, si esercita con più intensa passione. Hosni ha vietato la circolazione in Egitto di Zorba il greco, ma le forbici della censura hanno colpito soprattutto Schindler' s List di Spielberg («troppe uccisioni» fu il suo secco giudizio, riportato ancora una volta da Meotti) e tutti, tutti i film israeliani giacché, parole di Hosni, proiettarli «equivarrebbe ad accettare la normalizzazione dei rapporti con Israele, cui noi ci opponiamo fermamente». Perché Hosni, malgrado l' opinione dei suoi sponsor che lo vorrebbero al vertice dell' Unesco, si è sempre proclamato irriducibile nemico della «normalizzazione» proprio in un Paese, come l' Egitto, che ha invece «normalizzato» dopo Oslo i suoi rapporti con Israele, pagando un prezzo altissimo, a cominciare dall' assassinio di Sadat che aveva siglato la pace di Camp David. Ma Hosni, come ha ripetutamente documentato l' Anti-Defamation League, ha sempre ritenuto che «l' odio per Israele è nel nostro latte materno». Nel 2001, in un' intervista a al Kasat, ha ribadito la sua totale ostilità per gli israeliani: «Rubano tutto, il patrimonio musicale, il cinema e anche i vestiti, per questo vanno ricambiati con lo stesso livello di odio». Odio, odio e ancora odio. Una volta Hosni ha accusato i media internazionali di essere nelle mani «degli ebrei»: non risulta che abbia mai chiesto scusa. Mentre censurava libri, film, opere teatrali, poesie medievali, concerti (anche la cancellazione di un concerto di Daniel Barenboim è all' attivo del ministro della Cultura egiziano) ha fattivamente promosso la traduzione in arabo dei Protocolli dei savi anziani di Sion, il celeberrimo falso che ha nutrito senza requie le fantasie paranoiche dell' antisemitismo sotto ogni latitudine. E che i Protocolli rappresentino un testo chiave dell' immaginario psicologico e culturale del probabile prossimo responsabile dell' Unesco lo dimostra l' entusiasmo proselitistico con cui Hosni ha promosso la messa in onda per la televisione egiziana Dream tv del serial Cavaliere senza cavallo, la cui trama è ostentatamente ricalcata proprio sullo schema narrativo dei Protocolli. Del resto, nel 1988 è stato proprio Hosni a lanciare, scrive Meotti, l' opera teatrale Oh Gerusalemme dove si «incitava all' uccisione di ebrei e alla liberazione della città santa». «Quando i Protocolli dei Savi di Sion furono scoperti cento anni fa, l' establishment sionista internazionale cercò di negare il complotto» è sempre Hosni a parlare. Un' ossessione. Una fissazione non mitigata sinora da nessuna scusa, sebbene tardiva. Per questo, per il candidato al vertice dell' Unesco, «la cultura israeliana è disumana, aggressiva, razzista e arrogante, basata sul furto dei diritti altrui». Per un uomo che si accinge, con il consenso di molti governi occidentali tra cui quello italiano, ad occuparsi della difesa della cultura e della tolleranza, queste dichiarazioni suonano un po' paradossali. E nemmeno attenuate da qualche imbarazzata marcia indietro. Ma l' Unesco, per i prossimi dieci anni, sarà con ogni probabilità rappresentata da lui.

PIERLUIGI BATTISTA, Corriere della Sera, 9 Settembre

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