sabato 31 marzo 2012

Il Memorandum di De Filippo sul petrolio in Consiglio Regionale.

La delineazione del complesso squilibrio che si è determinato nella società regionale nelle questioni energetiche pretende un’assunzione di responsabilità forte, direi addirittura un rischio permanente, che può allargarsi sempre di più nel rapporto che è fatto più di disgregazioni che di unità su questi argomenti, in un difficile processo di modernizzazione aggravato dalla crisi con il quale deve fare i conti il Sud e la Basilicata. Ci troviamo di fronte al ripetersi di quella “coscienza infelice” propria di certe società che vivono con una non sopportabile marginalità storica, fenomeni lenti di crescita e di sviluppo. E’ stata questa la ragione che ha indotto e che certe volte induce anche oggi, a trattare questo evento come immediatamente risolutivo di divari che pretendono processi di accumulo di crescita e di innovazione ben più complessi e lunghi. Questa sorta di “mendax ab initio”, come l’ho chiamata in molte circostanze è spiegata esattamente dalle valutazioni che si sono fatte all’inizio appunto, e che forse non si potevano evitare. E’ arrivato il Petrolio tutto è indirizzato verso mirabili sorti e progressive. Il Petrolio è la ricchezza, il petrolio supera dipendenze, accelera percorsi di sviluppo e di occupazione! Ci troviamo ora e ci siamo trovati allora di fronte ad un fatto nuovo sicuramente, ad uno straordinario evento di attività industriale ricco di grandi aspettative, ma anche tutto sommato nella lineare, scansione, di accadimenti ai quali il mezzogiorno e la Basilicata erano sostanzialmente abituati.

Al Sud non sono mancati programmi e investimenti nella lunga storia anche solo repubblicana che pure furono annunciati come risolutivi. E’ iniziata una “nuova era” titolava un giornale nazionale del 1959 dopo le scoperte metanifere e petrolifere nel materano.

Non è da meno infatti la storia della chimica e delle partecipazioni statali; quella della FIAT o fenomeni endogeni come quelli del salotto, che soprattutto nell’impatto fordista iniziale assorbirono più facilmente le disgregazioni e le frantumazioni politiche, culturali e sociali che nel futuro di quegli avvenimenti si sono rivelati altrettanto difficili da superare, da bonificare. Certo la società lucana era più semplice più dipendente e i processi di autonomia che sono definitivamente sbarcati sul nostro territorio hanno innescato percezioni valutative più radicali e profonde.

Esiste, dunque un approccio problematico su quale possa essere il migliore utilizzo delle risorse petrolifere, che ci deve portare, io spero, sempre di più ad una interpretazione più rigorosa che dopo la prima fase diventa, sicuramente, più difficile e faticosa per le istituzioni pubbliche. Nel 1998 la comunità regionale nel suo complesso prese una decisione. Per chi ha memoria storica o per chi ha partecipato, deve ammettere che quel processo fu aperto con una democratica, direi trasparente, discussione pubblica che offrì ai decisori istituzionali tutti gli elementi per indirizzarsi verso quella scelta. Non si trattò certamente dell’unanimità ma sicuramente una chiara, misurabile maggioranza dei soggetti in campo si schierò per una ipotesi favorevole. Si era modificata già di molto la normativa nazionale nella produzione di petrolio e gas, vi era sicuramente una nuova possibilità per i territori, ma ancora nella letteratura internazionale il rapporto petrolio-sviluppo si presentava difficile e poteva apparire ancora più complicato in un quadro istituzionale dove la politica fiscale in Italia nel settore delle estrazioni è soprattutto nazionale e le competenze delle regioni sono quelle della valutazione di impatto ambientale.

Ovviamente il campo delle interpretazioni era ed è diversificato con declinazioni sviluppiste alla Shelley o del tutto pessimiste nell’uso degli effetti negativi indotti nell’economia dall’uso di queste risorse, cito Ross per tutti. Ci si poteva trovare di fronte al paradosso dell’abbondanza di Karl, che affligge numerosi paesi la cui economia dipende dal petrolio.

Qual è stato l’approccio lucano?

1. Il contesto programmatorio del Programma Operativo Val d’Agri, Melandro, Sauro, Camastra

Il Programma Operativo per lo sviluppo economico-produttivo del Comprensorio della Val d’Agri è stato uno strumento speciale finalizzato a sostenere lo sviluppo delle attività economiche ed industriali del territorio utilizzando le risorse finanziarie devolute alla Regione in relazione allo sfruttamento dei giacimenti petroliferi ivi situati.

La contestualità e la complessità di fattori di tipo sociale, economico ed ambientale ha suggerito in quella fase infatti di superare l’espressività del solo PIL come indicatore chiave delle politiche per lo sviluppo locale, per adottare una prospettiva più articolata basata su più aspetti concatenati di debolezza su cui innestare gli interventi, quali l’assetto insediativo e demografico, le caratteristiche strutturali del tessuto produttivo, la formazione professionale e la diffusione dei nuovi saperi, il mercato del lavoro, la dotazione di risorse ambientali e turistiche, il grado di offerta delle infrastrutture e dei principali servizi alla persona ed alle imprese.

Il Programma Operativo è stato concepito per poter mutuare le logica e la struttura della programmazione comunitaria ed essere compatibile in larga parte con il POR Basilicata 2000-2006. La metodologia a cui faceva riferimento richiama e sviluppa l’approccio territoriale sotteso alla progettazione integrata territoriale della programmazione comunitaria, a cui si collega in maniera sostanziale ed ampliandone la gamma di politiche e la portata della sfera della cooperazione. L’intento era:

- stimolare la diffusione delle logiche e degli strumenti della programmazione comunitaria;

- contribuire all’efficienza finanziaria del POR;

- contribuire sensibilmente all’efficacia di impatto del POR e dell’intera programmazione regionale.

Al di là degli stessi contenuti dell’elaborazione programmatica preliminare il Programma Operativo si sviluppò in un contesto di partecipazione e concertazione, ossia di esercizio di quel protagonismo responsabile delle soggettualità locali, già valorizzato in sede di progettazione territoriale integrata (PIT) ed acquisito quale metodo ordinario di programmazione territoriale in linea con l’approccio metodologico che ha indirizzato tutta la programmazione regionale del periodo storico in cui si colloca il POV. La stessa programmazione dei fondi strutturali per il periodo 2000-2006 fu incentrata su quelle che erano gli indirizzi delineati dal documento “100 Idee per lo sviluppo – Schede di programma 2000-2006 - Catania dicembre 1998” del Dipartimento di per le politiche di sviluppo e di coesione dell’allora Ministero del Tesoro, del Bilancio e della Programmazione Economica che videro come maggiori protagonisti Ciampi e Barca.

In altre parole, la significatività e la coerenza del quadro programmatorio hanno determinato che tali obiettivi ed interventi “speciali” di sviluppo siano coerenti con i contenuti e con i processi “diffusivi” della nuova programmazione 2000-2006, al fine di favorire la concentrazione e l’efficienza della risorse, l’integrazione e l’attivazione di sinergie ed economie di scala, evitare ripetizioni e sovrapposizioni di interventi, consentire l’assorbimento efficiente di risorse finanziarie stanziate, stimolare lo sviluppo di una progettualità qualitativamente crescente.

Tale forma del percorso progettuale, oltre ad essere stato convergente verso gli obiettivi di coerenza generale della programmazione, consentì vantaggi in termini di:

- stimolo e rinforzo della programmazione dal basso e di visibilità e riconoscimento dell’azione dei soggetti istituzionali dello sforzo straordinario per il riequilibrio di fenomeni di indebolimento e squilibrio;

- facilitazione, accompagnamento e costituzione di una importante ossatura di interventi per la nascita del Parco della Val d’Agri come modello di sviluppo sostenibile;

- rendicontabilità totale o parziale a valere sul POR 2000-2006, contribuendo ad elevare il tiraggio delle risorse finanziarie extra-regionali;

- fruizione delle soluzioni organizzative e gestionali già attivate per facilitare l’avvio dei progetti integrati territoriali, quali le azioni di supporto ed accompagnamento e le strutture regionali di coordinamento, interfaccia e sorveglianza.

In questo contesto programmatorio ed in stretta coerenza con esso il Programma Operativo si sviluppò basandosi su una consistenza finanziaria iniziale di 350 Meuro. In Italia negli anni successivi si è aperto un dibattito profondo fra istituzioni, economisti ed accademici sul migliore modello di sviluppo per il Sud quello organizzato dal basso o centralizzato che sicuramente riapre una valutazione anche sul POV e sui risultati attesi con analisi più profonde e tecniche di indagini più aggiornate come quelle controfattuali.

Altro elemento di chiarezza deve essere quello di descrivere con elementi di verità e di realtà la situazione attuale. Andiamo a fondo.

La Regione gruviera? La regione trivellata in mano alle compagnie petrolifere? Indifesa e abbandonata da una cinica Politica che si acconcia ad essere sensibile e subalterna a chissà quali poteri suscitando pregiudizi, alimentando un senso comune del tutto irreale o peggio invitando tanti ad esercitarsi in denunce, indagini che hanno sottoposto la Basilicata a terribili fasi di contrapposizioni. Io mi sentirei di rispondere: no, no e no! Questa è una delle pagine più infettate della vita regionale che sta scavando nel profondo la comunità producendo lacerazioni che dovrebbero allarmare molto le forze politiche responsabili.

Ma quale la situazione attuale delle estrazioni e dei pozzi?

Sulla base degli accordi del 1998, in Basilicata l’Eni avrebbe dovuto realizzare 54 pozzi. Da allora, non uno in più è stato autorizzato. E né al momento prevediamo di autorizzarne, in assenza del consenso delle popolazioni locali e degli sviluppi legati alla attuazione del Memorandum, a suo tempo sottoscritto tra Regione e Governo. Per la verità anche il nuovo piano industriale di ENI prevede meno pozzi. In questa fase, una sola cosa è certa: dei 54 pozzi inizialmente previsti, ben 9 non saranno più realizzati e altri 15 nel frattempo sono stati chiusi o posti in non produzione, con buona pace di chi continuamente, ancora in questi giorni, paventa una regione-gruviera, alla mercé indiscriminata delle Compagnie petrolifere.

Per ricostruire in modo dettagliato la mappa dei pozzi in Basilicata, bisogna tener conto di una sorta di spartiacque amministrativo, rappresentato dal D.M. 28 dicembre 2005, con il quale sono state riunificate nella concessione Val D’Agri, attualmente in capo alla società Eni e a Shell Italia, le quattro concessioni inizialmente denominate Grumento Nova, Volturino, Caldarosa e Costa Molino.

Una piccola curiosità, per così dire di sapore storico: il primo pozzo perforato dall’Eni in Basilicata risale al 1981. Si chiamava Costa Molina 001. E ad oggi risulta chiuso. Così come ne risultano chiusi altri tre, autorizzati negli anni successivi. Ed in particolare nel 1987, nel 1997 e nel 2003.

Prima del 2005, i pozzi perforati sono stati in tutto 39; ma oltre ai 4 che, come ricordavo prima, risultano chiusi, ve ne sono altri 11 non in produzione. Per cui, al momento, i pozzi operativi pre-2005 sono solo 23, a cui ne va aggiunto un altro tecnicamente definito in reiniezione. Totale: 24.

Con il programma lavori previsto dal Decreto Ministeriale di unificazione del 28 dicembre 2005, i pozzi previsti erano complessivamente 20, di cui 6 da utilizzare nella fase di ricerca e 14 in quella di sviluppo.

Di questi 20, ed in particolare tra quelli destinati allo sviluppo, al momento ne sono stati realizzati solo 2: Monte Enoc 10 e Cerro Falcone 4.

Ne restano 18. Ma di questi 18 – sulla base del nuovo programma dei lavori, autorizzato con DGR 1177 del 8-8-2011 - se ne realizzeranno solo la metà: 9, di cui tre destinati alla ricerca e altri 6 allo sviluppo.

Riassumendo: al momento vi sono 24 pozzi in produzione (compreso quello di reiniezione) realizzati prima del 2005. Due realizzati successivamente. E altri nove da realizzare in futuro. Totale: 35. Vale a dire il 35 per cento in meno dei pozzi inizialmente previsti dagli accordi del 1998.

Ho più volte riferito in questo Consiglio le attività che riguardano la ricerca che pure suscitano discussione sui territori, realizzate per lo più con metodi non invasivi.

Il dovere istituzionale principale in questa fase è sicuramente quello ambientale e della salute come abbiamo preteso anche nel Memorandum. Va in questa direzione il potenziamento dei sistemi di monitoraggio, la certificazione, la diffusione e la comunicazione dei dati e la partecipazione territoriale alla gestione della qualità ambientale. Con la prescrizioni dell’AIA VIA contenute nella delibera 627 del maggio 2011 abbiamo imposto controlli più alti all’ENI prevedendo il monitoraggio costante dei camini, l’installazione di 4 nuove centraline per la qualità dell’aria, 2 per il rumore, la verifica delle emissioni odorifere ecc. Dati che saranno disponibili nell’Osservatorio Ambientale, ovviamente validati da ARPAB. E’ stato inaugurato il Centro di Monitoraggio Ambientale, un vero “cruscotto ambientale” che nella integrazione di reti e di attività, con nuove tecnologie è la vera novità , mentre con le selezioni di tecnici realizzate dai centri di ricerca si presenta operativo l’Osservatorio Ambientale. Nuove collaborazioni con ISSPRA e l’Istituto Superiore di Sanità ci offriranno confronti e valutazioni sempre più avanzati.

Ma veniamo alla nuova strategia avviata con il Memorandum.

Si è detto che il sistema fiscale italiano delle attività di ricerca e coltivazione degli idrocarburi tiene conto dei seguenti fattori: disponibilità di riserve di gas e petrolio, forte vocazione di paese importatore, il 90% dei consumi italiani viene infatti importato.

In Italia la royalty su terra è attualmente del 10% (dopo l’incremento del 3% del 2009) mentre in mare è del 7% per il gas e del 4% per il petrolio, a questo si aggiunge il prelievo fiscale che prevede una tassazione sui redditi della società IRES, un tributo mai federalizzato ricordo, con aliquota pari al 27,5%, l’imposta IRAP al 3,9% e la Robin tax, che è una addizionale IRES, aumentata nel 2009 e nell’agosto 2011 al 10,5%, e di una ulteriore addizionale IRES introdotta ancora nel 2009 che porta a far calcolare il prelievo complessivo tra il 63,9% e il 68%. A questo occorre aggiunge i dividendi che lo stato incassa per le partecipazioni azionarie ad ENI.

La situazione nazionale pur abbastanza nota ci deve far ricordare, come l’esplosione di consumi di gas e petrolio in Italia all’inizio degli anni ’50 aveva trovato riscontro nel forte incremento della produzione interna e della perforazione di nuovi pozzi, raggiungendo in Italia valori storici con 200 pozzi all’anno. Dagli anni ’60 si è assistito ad un sensibile decremento dell’attività e dallo spostamento dell’industria nazionale su giacimenti esteri. Questa prospettiva ha fatto osservare a molti che le maggiori importazioni dall’estero peggiorano il deficit energetico, il più alto fra i paesi industrializzati, vengono trasferite all’estero risorse finanziarie che si sarebbero potuto investire in Italia, con investimenti stimati in circa 5 miliardi di euro, non vengono sfruttate le riserve di gas e petrolio nazionale. In più si calcola un mancato introito di tasse e royalties di non meno di un miliardo di euro all’anno.

Sono questi elementi di fiscalità generale, di valutazioni nazionali e locali, e della più generale situazione economica del Sud e della Basilicata a spingere molti osservatori a valutare le risorse lucane come uno degli asset più rilevanti per un rilancio della crescita dello sviluppo. Sono state queste valutazioni da me più volte sostenute in questo Consiglio ad aprire una nuova fase che punta ad entrare nel cuore della questione, quello del rapporto fra fiscalità e risorse, o di solidarietà e sussidiarietà fra territori . E’ nato su questo fronte di consapevolezza, se ricorderete, l’avvio della discussione intorno al petrolio all’inizio di questa legislatura.

Inutile, dissi allora, dividersi fra sciamani ed apocalittici, piuttosto creare il fronte più ampio di forze politiche e sociali per giungere ad un ribaltamento del vocabolario meridionale che ci vede più come problema che come opportunità!

Non ci sottraemmo a lanciare un appello alla maggioranza nazionale del tempo, richiamando tutti al legame più profondo che si poteva avere per questa terra. Eravamo oggettivamente circondati da pregiudizi, anche da scoperture istituzionali, in più vi erano aspetti come quelli giudiziari che condizionavano pesantemente questo dibattito. Dopo una fase non semplice di discussione grazie al lavoro di tanti, ma specificamente del Sottosegretario Viceconte e del Capogruppo Pagliuca, per l’opposizione regionale, la Basilicata comparve, come non succedeva da tempo nelle comunicazioni istituzionali del governo come snodo fondamentale delle politiche energetiche nazionali.

L’art. 16 del decreto liberalizzazioni (legge 24 marzo 2012 n. 27) rappresenta la più esplicita e definitiva consacrazione dell’impegno che la Basilicata conduce da almeno 15 anni per il riconoscimento della funzione nazionale che essa esplica in quanto fornitrice di una quota decisiva delle risorse energetiche da idrocarburi su cui può contare il Paese. Esso recepisce nella normativa nazionale le due principali istanze che, sin dai primi accordi sottoscritti nel 1999 e con crescente insistenza e precisione negli anni successivi, hanno informato la nostra impostazione dei rapporti tra la Regione e lo Stato in materia di valorizzazione delle risorse naturali del territorio: a. la valenza prioritaria e non negoziabile della tutela della vita e della salute delle persone e della salvaguardia delle caratteristiche e degli equilibri del contesto ambientale; b. l’irrinunciabilità di un’organica azione di potenziamento della dotazione infrastrutturale e di promozione dello sviluppo produttivo dei territori investiti e condizionati dai programmi di estrazione degli idrocarburi.

La Basilicata è stata di fatto il laboratorio del federalismo energetico. In questi anni essa ha fatto scuola per la capacità e la responsabilità di cui ha dato prova nello sforzo di contemperamento delle esigenze vitali del suo territorio con gli interessi strategici primari del Paese. Oggi essa è chiamata a confermare la sua credibilità nazionale, conquistata grazie alla dignità del suo popolo e rafforzata dalla unità di intenti dimostrata dalla sua classe dirigente, attraverso la messa a punto di un serio ed aggiornato quadro di interventi finalizzati a concretizzare per l’appunto gli obiettivi indicati dall’art. 16.

I documenti programmatici più recenti, dal PIEAR al Progetto Basilicata Obiettivo 2012, assumono tutti l’orizzonte di Europa 2020 quale paradigma del nuovo modello di sviluppo che punta a coniugare sostenibilità, accessibilità e attrattività.

Il Memorandum ha individuato già alcune direttrici fondamentali in fatto di:

1. tutela e salvaguardia dell’ambiente e del territorio e mantenimento delle qualità ambientali

2. miglioramento della rete infrastrutturale e della mobilità

3. creazione di nuova (e qualificata) occupazione attraverso la ricerca, la formazione e la promozione di nuove iniziative in campo ambientale, turistico ed industriale

4. costituzione di un cluster dell’energia di valenza nazionale ed internazionale.

Devo riferire che vi sono due attività già in corso che dopo l’approvazione dell’art. 16 pretendono, secondo la tempistica, prevista una accelerazione ed una sessione straordinaria dell’attività di questo consiglio. Il dossier già avviato nella discussione sugli interventi, ed un nuovo, concreto contributo che questi grandi players (ENI, ecc.) devono dare per lo sviluppo della Basilicata.

E’ chiaro che l’avvio della discussione ormai imminente, sul programma operativo 2014-20 e le risorse dell’art. 16, collocano la Basilicata ad un’altezza programmatica che ci deve indurre a richiedere al Governo nazionale e alla stessa Commissione Europea una sorta di specialità, l’assunzione di un modello regionale unico e distintivo con percorsi attuativi eccezionali. Io confido, avendo fatto già i primi passi in questa direzione, che ci sono le condizioni perché Governo e Commissione abbiano lo stesso interesse a sperimentare in questo senso un nuovo metodo, in una regione del Sud, che a livello europeo conserva un grande prestigio.

Dobbiamo fare bene e non abbiamo molto tempo.

L’incrocio fruttuoso che si determina con l’art. 16 e la nuova programmazione richiama la storia regionale ad un nuovo straordinario protagonismo. Il gruppo tecnico regione-stato che si era insediato dopo la sottoscrizione del Memorandum ha prodotto già molte analisi e documenti che ovviamente saranno sostenibili in termini di investimenti dopo il confronto immediato che avremo con il governo per definire il piano finanziario dell’art. 16.

Certamente rispetteremo l’ordine chiedendo il massimo nella sicurezza ambientale e nella tutela della salute, con le migliori e più avanzate tecnologie. Non possono mancare le risorse per completare il piano degli investimenti infrastrutturali sottoscritto ad agosto 2011 e finanziato per una parte, ricordo 660 milioni di Euro, attrarre investimenti nei settori più avanti dalla green economy alla Homeland security, fino alla costituzione di un Cluster internazionale nell’energia che dalle fonti fossili costruisce un modello democratico e sostenibile come nelle più avanzate strategie descritte da Rifkin. Solo i titoli di un programma che dobbiamo valutare nella sua concretezza dopo aver circoscritto, puntualmente le risorse finanziarie.

Il quadro finanziario e fiscale che ho descritto ci deve far comprendere, fino in fondo, come è stata utilizzata questa entrata derivante dall’attività estrattiva. Ci sono ragioni politiche in questi campi che descriverò che ci dividono particolarmente, ne sono consapevole. Sapendo l’indirizzo equo e solidale delle azioni del governo regionale proveremo a dimostrare come le compensazioni sono della Basilicata e che esiste oggettivamente una cartografia del disagio e delle perdite di chance della quale, civilmente, non possiamo non tener conto. Si potevano congelare risorse, per i rigori determinati dal patto di stabilità e per una oggettiva dinamica della spesa, migliorando inutilmente le giacenze di cassa e di competenza del nostro Bilancio? Soprattutto in una fase di tagli che ha sottoposto le amministrazioni pubbliche italiane e lucane ad una delle più critiche circostanze economiche e finanziarie dell’ultimo secolo? Il governo regionale ha deciso di no incanalando scelte che oggettivamente appaiono congruenti con le richieste che parti importanti della comunità sollevano. Bene, è nata così una nuova legislazione sull’Università che conclusasi con l’Accordo di Programma sottoscritto con il MIUR e l’allora Sottosegretario Viceconte punta a stabilizzare il nostro Ateneo in un lavoro di collaborazione che vide il recepimento di parametri derogatori da parte dello Stato e un investimento, derivante dalla royalties, di 10meuro all’anno per 12 anni.

Il bilancio del Petrolio, mi consentirete questa definizione, copre per due milioni di euro all’anno le borse di studio universitarie, per 20meuro i programma di forestazione e delle Vie Blu, per 3,5 meuro gli investimenti di SEL, totalmente per 22meuro il piano delle politiche sociali, le barriere architettoniche, il diritto allo studio per circa 4meuro ed ha contribuito ad aggiungere risorse al sistema sanitario per 20 o 30meuro all’anno.

Aggiungere, ripeto, perché come è noto il livello di disavanzo massimo in Sanità è normato al 5% con sanzioni e penalità note, mai superato in Basilicata, è invece prevista la possibilità di aggiungere risorse proprie al Fondo Sanitario Regionale.

Possiamo dire senza apparire troppo demagogici, che il Petrolio ha consentito alla nostra Università di poter resistere e crescere ulteriormente in un contesto non facile per gli Atenei italiani, ha garantito risorse nonostante i tagli ai servizi per gli anziani, per i bambini, per l’handicap, per le tossicodipendenze, ha difeso bacini sociali come nella forestazione sottoposti più di altri a rilevanti problemi economici così come la crisi ha imposto a tutti.

Considero queste scelte chiare e lineari, ed io provo a difenderle allo stesso modo in qualsiasi punto della Basilicata, l’ho fatto a Viggiano nel caldo di un acceso Consiglio Comunale, l’ho fatto altrove dove le amministrazioni pubbliche hanno rigettato richieste anche per la sola attività di ricerca.

Saremo capaci di tenere i nervi saldi e di non cadere in facili posizionamenti politicisti che sono il più remoto contrario di quello che pretende la situazione descritta.

Il memorandum ci impone esattamente questo livello di dibattito.

E’ iniziato in questa aula meno di due anni fa questo nuovo corso. Aperto ai rischi che ho palesemente presentato, ma tutto sommato fondato su valutazioni che potevano strutturare un nuovo e più strategico piano di confronto. Ci siamo riusciti. Ora incomincia la fase più delicata.

Lo sento e lo percepisco rileggendo proprio la storia passata e recente della Basilicata e del Sud. Quella che deve mettere mano alla progettualità, ma specialmente alla realizzazione. A quella urgenza operativa dai più richiamata che vuole confronto linearità e serietà. Con un lavoro profondo che provi a rinsaldare quelle disgregazioni portandoci sul territorio e nelle relazioni con le parti sociali ad essere unitari e responsabili. Mi rendo conto delle difficoltà ma so che dobbiamo e possiamo farcela.

Vito De Filippo

Presidente Regione Basilicata

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